sabato 13 aprile 2013

Lhasa



Mi sveglio con la testa un po' pesante ma in condizioni migliori rispetto al giorno prima. Affronto la scalata fino alla sala della colazione (5 piani di scale a 3600m non sono uno scherzo!) ma la vista dalla terrazza è semplicemente mozzafiato: tutto intorno i tetti di Lhasa, montagne e lì, che svetta sulla destra, il Potala in tutta la sua magnificenza.


La colazione è abbondante e internazionale, ma il mio stomaco ancora non se la sente di osare. Mi limito quindi a tè e biscotti (di pastafrolla, semplici semplici come quelli che si imparano a fare da bambini). 
Visto il leggero ritardo ci raggiunge la nostra guida, G. (Vista la situazione preferisco non fare nomi e tralasciare la sua storia personale, nonostante possa assicurarvi essere veramente fantastica) e faccio la sua conoscenza (gli altri l'hanno già incontrato il pomeriggio precedente per concordare e confermare l'itinerario). 
Mi piace. Ha una faccia allegra, intelligente, sorride sempre e si vede che ne ha passate parecchie. Siamo stati veramente fortunati ad averlo come guida del nostro viaggio. 

Scendiamo e ci incamminiamo verso il Potala, ex residenza del Dalai Lama, ora in esilio in India.
Anche qui è inutile dilungarsi in apprezzamenti e aggettivi. La parola "straordinario" racchiude tutto. È immenso, maestoso, potente. Una fortezza di pace in mezzo all'alto piano tibetano. 
G. ci accompagna tra il labirinto di stanze (più di mille) che lo costituisce, incantandoci con le sue descrizioni. Un tripudio di colori, bandiere, sutra e statue non fotografabili che si susseguono incessantemente durante tutta la visita. Colpisce il fatto che il palazzo sia però malinconicamente vuoto. Dall'invasione cinese del 1950 ai monaci non è più permesso soggiornarvi e svolgervi funzioni. Per quello c'è il Jokhang, ora il monastero più importante della città. 


Il mal di testa ricomincia a martellarmi. Scendiamo sotto il sole delle 2 (se Lhasa è a 3600m, il tetto del Potala sarà a 3700!) e G. mi accompagna a prendere una medicina tibetana, un'era chiamata Rhodiola che serve a combattere il mal di montagna. Seguo gli altri a pranzo ma il mal di testa e la nausea mi impediscono di toccare cibo. Nonostante il Diamox e la fialetta cinese sto ancora malissimo. Torno in albergo e vomito di nuovo.. Mi rimetto sotto le coperte con un mal di testa talmente battente da non riuscire nemmeno a preoccuparmi. 
Quando gli altri tornano scriviamo un messaggio a G. chiedendogli se eventualmente fosse possibile cambiare l'itinerario viste le mie condizioni (il giorno dopo è prevista una salita a 5000m!). 
Dopo 20 minuti si presenta in camera con tre bombolette di ossigeno e mi esorta a usare subito una.
Sto un po' meglio, quindi decido di seguire gli altri per cena per prendere un po' di aria fresca. 


L'ossigeno, la Rhodiola e il Diamox cominciano a fare effetto, ma preferisco comunque non mangiare molto. Mi accontentò di qualche cracker comprato al supermercato. Torno in camera, mi faccio una doccia veloce per non peggiorare la situazione con l'acqua calda, mi butto a letto e ripiombo nel sonno. 

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