domenica 28 aprile 2013

Vale + Vale


La possibilità di dover passare un’altra nottata lì, sa sola, non è proprio una prospettiva allettante per la Vale. Decidiamo quindi di abbandonare l’ “appartamento” e portare le sua cose dalla Marta: piuttosto avrebbe dormito in aeroporto!

Dopo colazione ci trasferiamo alla città vecchia e poi a Nanjing lu per un caffè con Daniele, un altro surfer, un fisico appena trasferitosi a Shanghai per lavoro. Una persona molto piacevole, spero di rivederlo prima di partire. Questo sito è veramente una fonte inesauribile di persone interessanti. Non avendo una meta precisa, andiamo tutti e tre al fake market per degli acquisti: lui si fa fregare (a detta sua) come al solito, io mi porto via due paia di converse a 100 kuai e la Vale un paio di New Balance. Bu cuo (“non male”)!
Lo salutiamo e ci dirigiamo a Tianzifang per una passeggiata e una birra. Mike non ci raggiunge, “you know that it’s far from where I live”. Punto primo: I know proprio un bel niente perchè non ho idea di dove abiti… punto secondo hai una macchina! Punto terzo: affari tuoi, ti darò la chiave un altro giorno.


Sedute al bar degli orsi (altri ricordi!) davanti a una birra fresca, sembra che noi due ci conosciamo da una vita. Certe esperienze dilatano il tempo, ti ritrovi legato a una persona dopo meno di 24 ore che la conosci. È l’effetto del viaggio, è per questo che ne sono così innamorata, che non posso farne a meno.


“A journey is best measured by friends, rather than miles”


sabato 27 aprile 2013

The WTF Day


Non ho la chiave dell’appartamento, quindi per non essere costretta a rimanere in giro tutto il giorno, vado a casa della Marta per pranzo.
Mi preparo da mangiare, faccio una doccia, la mia ricerca quotidiana di offerte di stage e verso le 6 esco per incontrare Mike. Mentre sono per strada mi chiama: “sono con una ragazza italiana, magari la conosci!” Se, vabbeh… adesso solo perché è italiana dovrei conoscerla… e invece! Si chiama Valentina, è di Lecco… e conosce la Marta! NO WAY! Passiamo la prima mezz’ora a ridere e a ripetere quanto assurdo fosse.






Ceniamo da Ajisen Ramen (quanti ricordi!) e poi Mike ci porta all’appartamento… ma sorpresa: è occupato! Lo zio giocherà a Majong con gli amici tutta la notte. So..?! Mike è visibilmente dispiaciuto, si scusa mille volte. “Non preoccuparti”, lo rassicuriamo pensando che a quel punto ci avrebbe portato a casa sua. Invece ci dice che ci porterà nel suo studio di pittura. Ok… stiamo a vedere. Arriviamo davanti a una vetrina chiusa da una grata di ferro, come quella dei negozi. 


Apre e ci ritroviamo in una stanzetta di 12 mq. Entriamo, oltre alla stanza c’è un lavandino e un soppalchetto sommerso di oggetti. Avremmo dormito lì.. senza un divano, un materasso, coperte, BAGNO. WTF?! 


Accettiamo la soluzione solo perché siamo in due. In questo modo la nottata si prospetta divertente. Ma non riusciamo a spiegarci perché diavolo non ci ha portate a casa sua (aggiungo: nessuna delle due sapeva che saremmo state in due!)… ci convinciamo del fatto che la moglie non sapesse di noi.
Questa volta abbiamo le chiavi… almeno quello! Usciamo alla ricerca di un bar con un bagno. Troviamo il bagno ma non il bar, quindi prendiamo un gelato in un supermercatino e torniamo a “casa”. Lì, musica accesa, mi metto a dipingere: la scuola di pittura per bambini di Mike prevede quei quadretti numerati in cui bisogna semplicemente colorare ogni area con il colore corrispondente. 


Alle 2 di notte mi stufo e decidiamo di metterci a dormire. La prendiamo a ridere e dopo aver fatto i salti mortali per riuscire ad usare il lavandino a mo’ di water, troviamo un puzzle gigante da pavimento, di quelli di spugna per bambini, e ci costruiamo un letto. Ci diamo la buonanotte, ma non sarà proprio così.. nonostante la temperatura esterna non sia bassa, lì dentro si gela. Cominciamo quindi a coprirci con tutto quello che riusciamo a tirare fuori dai nostri zaini-cuscini, ma la nottata non sarà comunque riposante.
Mike… ma vaaaaaaaffanculo!!


venerdì 26 aprile 2013

Mike


Preparo lo zaino e mi dirigo a Dalian lu, dove ho appuntamento con il mio primo host! Dopo qualche minuti di attesa, arriva Mike, con una macchina nera (non chiedetemi maggiori dettagli, ma sembrava bella) senza la targa dietro. Ammetto di aver avuto un attimo di tentennamento nel salire in auto, ma subito ha prevalso la fiducia. Cominciamo a chiacchierare: lui è uno shanghainese doc. Raro da trovare. Mi porta a mangiare in una bettola famosa tra i locali per i suoi xialongbao. In perfetto stile cinese, ordina una sacco di cose. E sempre in perfetto stile cinese, non lesina in rutti e risucchi. Ma a modo suo è un ragazzo “raffinato”: ha la macchina, un buon lavoro e una camicia bianca portata con stile. Non è facile trovare un cinese vestito bene! Baffetti a parte, non sarebbe nemmeno troppo male (ho detto TROPPO).
Finito di mangiare, ha un attimo di disorientamento perché non sono una vera e propria turista: conosco abbastanza la città, quindi non sa bene dove portarmi. Opta per il traghetto. Purtroppo l’imbarco più vicino al Bund è chiuso, ma la vista è carina anche da quello che abbiamo preso noi. Facciamo una breve passeggiata a Pudong e ci dirigiamo verso casa. Scopro però che non è la SUA casa. O meglio, lui non vive lì. È un appartamento vuoto, dello zio. Un po’ mi dispiace rimanere lì da sola, ma ho il computer, non è poi così male. Mike si ferma per un bicchiere di birra, poi riceve una telefonata (presumibilmente della moglie, anche se in tutta la serata non ha menzionato di averne una) e scappa a casa. Il giorno dopo deve lavorare. Tz, sa più da guinzaglio, ma comunque..




Mi piazzo sul divano con un libro e un po’ di musica. Mike è carino, mi fa compagnia su whatsapp. Unica cosa da segnalare: il mio letto non ha lenzuola né coperte… Non avendo il sacco a pelo, decido di dormire sul mega divano del soggiorno con la kongtiao sparata a 30°. Ma nella mia perlustrazione della casa, trovo un armadio con delle coperte. Rimango comunque a dormire sul divano: è la mia prima notte da couch surfer e voglio rimanere coerente con la definizione!


mercoledì 24 aprile 2013

Couchsurfing


La mia esperienza di couchsurfing inizia per gradi. Venerdì e sabato notte sarò ospite di Mike, un ragazzo cinese con moglie e figlia, a quanto dice il profilo, ma nel frattempo passerò la giornata con un paio di surfer di passaggio a Shanghai.
Adam e Teresa. Lui americano, lei di Singapore. L’esperienza è decisamente piacevole: passiamo la giornata a parlare di posti stupendi in cui siamo stati o vorremmo andare. Le esperienze da condividere sono infinite. Teresa viaggia molto per lavoro, mentre Adam è partito per il sud est asiatico due anni e mezzo fa.

Non ho niente di particolare da aggiungere, ma l’esperienza è strana: dopo poche ore insieme è come conoscersi da una vita. Dopo un pranzo coreano inaspettatamente economico per essere a due passi da Nanjing Donglu, ci salutiamo e ci diamo appuntamento per una birra dopo cena. Con Adam, che ancora un giorno a disposizione, si ripeterà anche la sera seguente.

lunedì 22 aprile 2013

home sweet home


Nel calduccio del mio nuovo letto nella mia bellissima casa di Shanghai, mentre aspetto paziente e silenziosa che la ayi finisca le pulizie, mi arriva un messaggio di Marchino: “vai a vedere la foto che ho pubblicato nel gruppo della squadra della morte”.
VPN. Facebook. Squadra della morte. Foto: articolo di giornale. Alla seconda riga già mi commuovo. Nel vedere il mio nome e poi quello di Niki, della Bibi e di tutti gli altri fantastici e fondamentali componenti della SDM, mi riempio di gioia e tengo da parte un enorme abbraccio per Luca, che sembra aver scritto quell’articolo con tutto il suo cuore.


La mia nuova breve vita a tempo determinato a Shanghai inizia col sorriso, con il giusto collegamento alla mia solita vita italiana.


domenica 21 aprile 2013

La mia non undicesima maratona di S. Antonio


Una cosa che veramente non capisco della Cina (una tra le tante) è perchè negli aeroporti si debbano riprodurre tutte le situazioni climatiche del pianeta nel giro di poche ore. Ma lo cosa più fastidiosa non è tanto lo balzo di temperatura.. Quanto il freddo di notte. E lo dice una che è mai ha perso il cono degli aeroporti cinesi in cui ha dormito. Fa freddo. Fa cazzo freddo! Ti addormenti con una temperatura ideale, felpa che tiene al calduccio e giacca che fa da cuscino. Dopo un po' rinunci al cuscino per metterti addosso la giacca. Dopo un altro po' cominci a tirar fuori tutto quello che hai in zaino per cercare un po' di tepore ma nemmeno quello funziona. E a quel punto rinunci a dormire. Ma sono solo le 3 e il volo è alle 7.30. Allora di accoccoli li sulla panchina cercando di sviluppare tutto il calore possibile finché non crolli dalla stanchezza, riaddormentandoti in qualche posizione altamente improbabile. 


Un'altra cosa abbastanza fastidiosa se decidi di passare la notte in aeroporto, è che in Cina non dormono mai. Voli a tutte le ore, di continuo, senza sosta. Il che significa luci accesi e via vai continuo di persone che spesso è volentieri ti si siedono anche addosso. Ma in fondo i aeroporto mi sento a casa. Se non fosse per il freddo, mi piacerebbe proprio. E poi.. È molto più confortevole e pulito di molti ostelli!
Toh guarda, mi sembra di vedere Tom Hanks laggiù in fondo che sistema i carrelli.
Bene. Ci risentiamo a Shanghai. 



sabato 20 aprile 2013

Wan Li Changcheng


La muraglia è uno spettacolo impressionante. Con i suoi 6400m di mura e bastioni che si perdono all’orizzonte lungo la cresta delle montagna, vale decisamente la fatica spesa per arrivarci.



Sveglia presto per andare alla stazione degli autobus a Dongzhimen. Più di mezz’ora di coda per riuscire a salire su un 916. Un’ora e mezza di traffico e si arriva alla fermata di Huairong Da Bei Lu. Qui bisogna contrattare: mancano ancora 20km alla muraglia e i tassisti abusivi si contendono i turisti. Ne troviamo uno simpatico che ci fa schiacciare sul sedile posteriore con un altro ragazzo cinese, mentre un altro più in carne si siede davanti. Ci aspetterà anche al ritorno, con una tariffa accettabile e un sacco di voglia di chiacchierare. Apprezziamo il personaggio.


Al ritorno gli altri provano a correre al Tempio dei Lama mentre io mi ritaglio un paio di ore di tranquillità del salotto di Anna con tè e tortine di riso soffiato. Ci voleva proprio.
Tristi saluti, del resto tra di noi funziona così: nessuno sa in che parte del mondo sarà nel prossimo futuro. Ma in un modo o nell’altro ci si ritrova sempre.

Taxi per Meishi jie, ritrovo con gli altri al Mc Cafè (che ormai è nostro) e mentre li aspetto scambio due parole con un fuwuyuan. Le occasione per praticare la lingua, seppur limitate ai soliti convenevoli, non mancano!

Cena in un ristorantino (a quanto pare) tipico di Pechino che possiede addirittura un proprio programma/canale/whatever televisivo e poi si scappa in aeroporto.
Altre panchine ci aspettano. Così come i saluti. Miei bodyguards, ci rivediamo a Padova tra un mese e mezzo!



venerdì 19 aprile 2013

La città proibita


Mi costringo a buttare la testa sotto l’acqua gelida… buongiorno mondo!
Mi riscaldo il cervello con un caffè fumante da Mc Donald’s e ci dirigiamo verso la città proibita. Purtroppo il tempo non è stupendo, il cielo è grigio e a tratti pioviggina, ma poteva andare peggio. Piazza Tian’anmen non perde di maestosità, anzi, il grigiore sembra quasi appartenerle e darle vigore.


Altra nota dolente: gran parte degli edifici principali della città proibita sono in ristrutturazione, ricoperti da una fitta rete verde. Quantomeno siamo entrati con la riduzione studenti. La mia tessera FIDAL colpisce ancora.

Sala dopo sala, porta dopo porta, arriviamo al labirinto degli appartamenti di imperatore, eunuchi e concubine e da lì raggiungiamo l’uscita attraverso il giardino imperiale. 

Cerchiamo un posto per il pranzo e finalmente riusciamo a fare uno share come si deve, dopo una settimana di monotono cibo tibetano. Da lì cerchiamo un taxi per andare al tempio del cielo, ma i tassisti non si fermano. E quelli che non si fermano non ci portano. E a questo punto potrebbero anche andarsene a fan..
Senza alternative, siamo costretti a rinunciare all’impresa. Muoversi in metro richiederebbe troppo tempo.

Torniamo in ostello e sbrighiamo le ultime cose via internet: cerchiamo delle indicazioni per arrivare a Mutianyu, una delle sezioni meglio restaurate della Grande Muraglia… un parto. Altrettanto lo è stato capire se ci fosse un autobus notturno che porta in aeroporto. Desistiamo: prenderemo il treno delle 22.50.
Usciamo di nuovo diretti a Wangfujing, questa volta in tempo per trovarvi ancora un po’ di vita. La pacchia non dura molto, qualche boccone e chiude tutto, senza nemmeno il tempo di far provare agli altri uno scorpioncino.

Raggiungiamo la Anna a Sanlitun e durante la serata i ricordi si sprecano. Nanchino ci ha segnati tutti, basta essere almeno in due per poterne parlare per ore e ore senza mai stancarsi. Ma per non stancare voi, tralascio l’argomento.
In ogni caso sapere che la maggior parte di noi è di nuovo in Cina o comunque sparsa per il mondo è confortante. Vuol dire che i nostri sforzi non sono stati vani. Che quello che abbiamo fatto ci piaceva veramente.
Un paio di birre e a nanna: domani sveglia presto.

La doccia calda è un miraggio sempre più lontano.



giovedì 18 aprile 2013

L’ennesimo volo interno



Il risveglio è nel deserto, piatto e polveroso. L’esatto opposto di quando ci siamo addormentati. Arriviamo a Xining mezz’ora abbondante prima del previsto. La città è deserta, anzi, un deserto. Desolata, desolante, piena di polvere e cantieri. Il vecchio lascia posto al nuovo, come in una cantilena sentita e risentita.
Cerchiamo un autobus per l’aeroporto, ma a quanto pare non ce ne sono (o questo è quello che ci dicono…), quindi contrattiamo per un taxi. Qualsiasi cosa pur di andar via da quella stazione triste e decadente.

L’aeroporto è piccolo e fatiscente, ma l’aereo è in orario. Mentre il pilota accende i motori, ci chiediamo se sia possibile decollare in mezzo a tutta quella polvere. Incrociamo le dita.
Atterriamo a BJ in un cielo decisamente azzurro, quanto meno molto più azzurro di quello da cui siamo partiti. Tiro un sospiro di sollievo: il mio primo impatto con quella città non era stato così piacevole.
Treno, metro, taxi abusivo, vagabondaggio tra gli hutong e arriviamo all’ostello, desiderosi di una doccia calda. L’acqua è gelida. Bestemmie.


Per cena decidiamo di andare a Wangfujing e incontriamo due uomini che non avendo altro da fare, ci scortano fino lì. Chiacchiero con loro per tutto il tragitto, sono molto di compagnia, ma viste le ultime 48 ore, arrivo a destinazione stremata dallo sforzo linguistico. Ormai è tardi, è tutto chiuso. Rimane solo l’opzione Mc Donald’s. Poco male: l’idea di un cheesburger va bene a tutti.

Più avanzano le lancette dell’orologio, più il Mc Donald’s si trasforma in un “Mc Dormitorio”, come l’ha definito Andrea. Una quantità assurda di persone si aggira per i tavoli in cerca di avanzi, per poi prendere posto più o meno comodamente sui divanetti. Quando il numero degli accampati supera quello degli svegli, decidiamo di andarcene.

Una lunga passeggiata fino a casa passando per l’imponente piazza Tian’anmen illuminata e ci fiondiamo a letto, esausti.



mercoledì 17 aprile 2013

Il treno più alto del mondo


Il risveglio è magico. Ha nevicato: Lhasa è circondata dalla neve, l’aria è pungente, lo spettacolo lascia senza parole. La terrazza della colazione offre una visione a 360° delle cime innevate.



Alle 10, due ore più tardi rispetto a quanto detto dal sito internet, saliamo sul treno per Xining. Ci aspettano 24 ore di viaggio, di cui più della metà sopra i 4500m.

Il paesaggio si sussegue così straordinario e ininterrotto che è difficile staccare gli occhi dal finestrino. Superiamo villaggi, bandiere, mandrie di yak, pecora, contadini, militare sull’attenti che nel bel mezzo del nulla salutano il passaggio del treno..
Vediamo il sole, la neve, le nuvole, la nebbia, il giorno, la notte, ghiaccio, fiumi. Attraversiamo una terra di infinita desolazione ma che comunque ha la forza di attrazione di una stella gigantesca.
Ogni tanto attraversiamo banchi di nebbia talmente fitti che sembra di essere stati inghiottiti di colpo dal NULLA della storia infinita.


Anche l’interno del treno offre un’ampia varietà. Passeggeri vestiti di tutto punto, ragazzi accampati sopra gli zaini tra un vagone e l’altro, gente che dorme nei vagoni letto e soprattutto gente che ci fissa quando passiamo. Noi siamo gli unici occidentali presenti a bordo. Se la nostra presenza tra gli “hard sleepers” passa relativamente inosservata, pochi passi nel vagone “hard seats” bastanza a scatenare un’infinita serie di “WAIGUOREN”, sussurrati all’orecchio del vicino, o urlati come davanti alla scoperta di una nuova specie vivente.
Le reazione sono diverse: Andrea, per esempio, traumatizza a vita un bambino che probabilmente non aveva mai visto un uomo bianco in vita sua. Credo che le sue grida siano arrivate fino al capotreno. Il papà se la ride, ma al nostro prossimo passaggio, per sicurezza, si affretta a coprire gli occhi del figlioletto. E ha fatto bene: qualche ora dopo, ripasseggiando per il treno, non facciamo in tempo ad avvicinarci alla sua cabina che la vista di Marchetto lo fa ripiangere terrorizzato. Già pianifichiamo di spuntargli davanti urlando, in piena notte, nel buio, alla luce delle torce!

Mentre il paesaggio esterno cambia di continuo, quello fuori ha un che di familiare: i dolcissimi e delicatissimi rumori tipici del cinese medio ci accompagnano per tutta la durata del viaggio.
"Noi, gente che SPUTA. Gente che viene e che va. Cercando la felicità"


Un po di esercizio fisico ad alta quota per non atrofizzarci completamente, e ci mettiamo a dormire (scelta alquanto obbligata, visto che alle 22.30 si spengono le luci)
Buonanotte Tibet.
A presto.

martedì 16 aprile 2013

Goodbye Tibet


Ci svegliamo con la luce del mattino che entra dalla finestra sena tende. Siamo stati a letto 12 ore! (esclusa la piccola parentesi hot spring)
Yake e G. non sembrano ancora molto reattivi. Al suono della sveglia si rintanano sotto le coperte come bambini: “ancora 5 minuti!”.
Colazione, passeggiata fino alla fontana per darsi una risciacquata, e andiamo a visitare il piccolo monastero delle monache.
Anche qui stanza dopo stanza, ci immaginiamo le possibili abilità di ogni protettore e la difficoltà o i privilegi associati ad ognuna delle 5 sette buddiste. Si si, sarà proprio un bel gioco.
Mentre i nostri bodyguards ci registrano alla stazione di polizia, vagabondiamo un po’ per il villaggio e scambio due chiacchiere con un gruppetto di uomini intenti a guardare i lavori in corso (tutto il mondo è paese). Esaltati dalle mie poche parole di cinese, cercano di esprimersi in una lingua più comprensibile possibile, ma non gli riesce molto bene.
Recuperiamo le nostre cose pronti a ripartire. Il mio acclimatamento non è ancora tale da farmi fare la salitaccia del villaggio con i 13kg del mio zaino in spalla e così mi aiuta G. Ciononostante sono costretta a fare numerose pause durante il tragitto. Poco male: il panorama offre numerosi scatti!



 Ci rimettiamo in moto verso la “civiltà” e dopo non molto arriviamo in un villaggetto lungo la strada. Ci fermiamo per chiedere a un uomo se è possibile entrare in casa sua. Previo compenso, accetta.
Anche qui quello che impariamo non è poco. Attraversata la bellissima porta d’ingresso, lo scenario cambia: stupenda facciata, interno poverissimo. Scopriamo che il governo cinese fornisce dei fondi a ogni famiglia per rendere bella la facciata della casa che da sulla strada: in questo modo al viaggiatore di passaggio, arriva l’immagine di un bel villaggetto di campagna, carino e ordinato. Ma i fondi bastano, per l’appunto, solo per la facciata. L’interno è a carico del proprietario. E questo rispecchia le reali condizioni di vita.
Come in molte situazioni di campagna, il cortile è murato per potervi contenere gli animali. Yak e maiali girano per il cortile. Cacche di yak sono spiattellate sul muro a seccare, per poi essere usate per il accendere il fuoco della stufa. Ogni cosa ha la sua utilità. Un bambino (probabilmente il più sporco che abbia mai visto) ci osserva diffidente, segna accennare a un sorriso e spesso e volentieri nascondendosi dietro le gambe del papà. La moglie è in ospedale: sta per avere un bambino.
Entriamo nell’unica stanza della casa: divani attorno alla stufa, che la sera verranno trasformati in letto. Al muro una foto di Mao. È obbligatoria nelle case tibetane, così come la bandiera cinese sul tetto. In realtà nell’abitazione c’è un’altra stanza, accuratamente nascosta: la stanza per la preghiera, un piccolo tempio privato, costellato di foto del Dalai Lama. Solo la nostra occidentalità ci permette di accedervi. Se la polizia lo venisse a sapere, sarebbero guai per il povero contadino.


Ripartiamo, pronti per un’altra tappa: gli yak! Fermiamo l’auto vicino a u gruppetto di animali sonnacchiosi: G. e Yak vogliono farceli vedere da vicino.
Avanziamo con una certa cautela: non vogliamo far innervosire i bestioni. Anche le nostre guide camminano lentamente… molto lentamente… per poi cominciare a correre urlando e lanciarci letteralmente contro il branco spaventato! MALEDETTI! Fate bene a ridervela da lontano… aspettate di capitarci a tiro!!!
Tempestiamo di foto questi animali stupendi adornati da trecce e nastri rossi e poi riprendiamo il nostro cammino – costellato di buche – per Lhasa.


Un paio d’ore e di controlli militari più tardi arriviamo in hotel. Proponiamo a G. e Yak di bere qualcosa insieme la sera, per salutarci, ma la moglia di Yak è categorica: “a casa!”. Società matriarcale, dicevano…

Facciamo l’ultima passeggiata, compriamo gli ultimi souvenir, mangiamo l’ultimo piatto a base di carne di yak e ce ne andiamo a dormire.
Buonanotte Tibet. Mi mancherai.

lunedì 15 aprile 2013


Sveglia sveglia si va a Drigung Til (nome degno di Harry Potter). Escursione di due giorni con pernottamento in un villaggio racchiuso tra le montagne a 4300m, famoso per le sue sacre acque termali, che si ritiene abbiano un potere curativo.

Questa volta è Marchetto a non sentirsi troppo bene, ma decide comunque di non lasciarsi sfuggire l’escursione (e di non prendere il Diamox).
Ci rimettiamo in viaggio di nuovo lungo la valle del fiume, ma in direzione opposto al lago Yamdrok. Il paesaggio scorre arido e brullo, interrotto solo dalla miriade di serre indispensabile a far crescere qualcosa su un terreno del genere.
Dopo circa un’ora raggiungiamo una vera e propria oasi verde e ci fermiamo per qualche foto. Yak, cavalli e una miriade di maialini scorrazzano per il manto muschioso. Bisogna ammettere che anche i maialini sono divertentissimi e soprattutto molto più agili di quanto uno possa immaginare! (ho come un deja vu di quello che sto scrivendo.. mah!)

ECCO ECCO, LO SAPEVO CHE NON POTEVO ESSERE COSì RINCOGLIONITA! Avevo già scritto queste cose sulla mia agenda! Bene, riparto copiando quello che ho scritto su carta, ovvero le sensazioni del momento.

“Diamox e Rhodiola sono ormai parte integrante della mia dieta.

Viaggiamo lungo la valle di un fiume che in questa stagione è meglio definibile RUSCELLO. Tutto è arido e secco, tranne una piccola oasi verde in cui ci fermiamo a fare delle foto. Qui scopriamo che anche i maialini sono animali buffissimi! E soprattutto molto più veloci e agili di quanto ci si possa aspettare.

Salutiamo maiali, yak e cavalli e ripartiamo.
Man mano che ci allontaniamo da Lhasa aumentano i controlli militari (ho già detto che in città sono ovunque? Strade, tetti, monasteri… ) e diminuisce l’asfalto. Ma il nostro fidato Yak si dimostra un rallysta provetto, che sembra proprio provare gusto e divertimento nelle pessime condizioni della strada!
Dopo qualche ora di guida e un migliaio di buche avvistiamo il monastero: arroccato sul pendio della montagna, circondati dagli alloggi dei monaci, sovrasta la piccola cittadina che occupa la vallata. Cominciamo a salire: 4600m.
La prima visione che ci appare è quella di un monaco che, tunica alzata, tutto sorridente ci saluta mentre fa la pipì. Welcome to Drigung Til!

È ora di pranzo, entriamo nel ristorante del monastero e come fossimo gli spiriti dei protettori reincarnatisi in una strana forma umana, tutti cominciano a fissarci, rapiti dai nostri strani tratti somatici. G. ci dice che non sono molti i turisti da quelle parti.
Ci sediamo intorno a uno dei tavoli più sporchi che abbiamo incontrato lungo il nostro pellegrinaggio e ordiniamo. Guess what? Riso, patate e carne di yak.


 Tra il fumo della stufa e quello delle sigarette l’aria è pressochè irrespirabile, ma il momento è bellissimo, estemporaneo. Parliamo sottovoce, stando attenti alle parole che pronunciamo: G. teme che possano esserci delle spie governative. Ci dice che capita spesso.
Dopo aver goduto appieno del momento, cominciamo la visita del monastero. La cosa che mi colpisce di più, e che più mi ha fatto ridere, è che ogni monaco è dotato di smartphone! Fantastico! L’avreste mai detto?
Più ci avventuriamo tra le sale, più prendono forma le regole del nostro gioco di ruolo. Che geni del male che siamo!


Visitate tutte le stanze, ci dirigiamo al sito dello sky burial, il funerale del cielo tibetano. È da quando Nicko me ne ha parlato che aspetto questo momento. Peccato solo i 30 minuti di salita per raggiungerlo! Facca… non mi sono mai sentita così stanca. Che poi non è nemmeno tanto la stanchezza a frenarmi, quanto la necessità di fermarmi per rallentare il mio battito cardiaco ogni pochi passi. Ogni minimo sforzo a quota 4600m mi fa battere il cuore a mille, sembra che stia per esplodermi dentro il petto da un momento all’altro!


Passo dopo passo, sosta dopo sosta, arriviamo al sito. Circondato da una rete per tenere lontani gli animali (che comunque si cibano dei resti portati in giro dagli avvolti), un cerchio di pietra e alcuni uomini. Impossibile fare foto qui, altrimenti gli spiriti si spaventerebbero. Poco prima, mentre eravamo ancora al monastero, G. ci aveva indicato alcune casse contenenti i corpi dei defunti, pronti per la sepoltura. Inoltre ci ha spiegato che le famiglie non possono assistere al rito, altrimenti lo spirito del proprio caro li avrebbe seguiti fino a casa, diventando così un fantasma costretto a vagare per la Terra.

Torniamo al cerchio di pietra. Prima ancora di poterne vedere l’interno, ci assale l’odore rancido dei cadaveri smaciullati. Al centro dei sassi, piccoli pezzi di carne vengono mangiati da uno stormo di corvi neri come l’ebano. Hanno un che di tetro. Gli avvoltoi sono già sazi; così sazi da non riuscire a volare: se ne stanno lì, immobili e inquietanti ad aspettare il prossimo pasto, all’alba della mattina seguente.
Sono troppo ipnotizzata dal momento per chiedere a G. perché un uomo stia praticando dei fori su un teschio già perfettamente svuotato.

Proseguiamo il cammino lungo la rete costeggiata da stupa e bandiere colorate. Il luogo è sacro, lo si percepisce concretamente nell’aria che si respira. Il defunto viene mangiato, per ripagare le vite degli animali di cui egli stesso si è nutrito. E poi viene portato in alto, in cielo, vicino agli spiriti del protettori.

La riflessione spirituale viene interrotta da una scenetta alquanto comica: dei monaci sorridenti cercano di spingere un trattore che non ne vuole sapere di proseguire la salita per la montagna. Basta un cenno e i nostri uomini si attivano: G., lo Yak, Andrea e Marchetto danno una mano a spingere il trattore che trasporta le pietre per la sepoltura dei nuovi corpi. Tornano impregnati dell’odore di cadavere. Che gioia.


Continuiamo la discesa per l’impervio sentiero che ci riporta al monastero e incontriamo un militare che ricorda a G. che deve registrare la presenza degli stranieri.

G. e lo Yak cominciano a rincorrersi come bambini. “And then you say you are too old to play football!!”. Ci seminano e tentano l’agguato: vediamo le scarpe di G. spuntare da un angolo buio alla fine di una serie di campane e decidiamo di stare al gioco. Come previsto, non appena a portata di spavento, salta fuori urlando! “Fortuna che avevi detto di stare seri in presenza dei defunti!!” Il migliore.. ce ne andiamo ridendo, lui non riesce a trattenersi ed è costretto a coprirsi la faccia per non essere troppo insolente. “It’s my nature!”. Che personaggio.

“Ma il meglio deve ancora arrivare..”
Scendiamo verso il villaggio di Tidrum, dove passeremo la notte. Superiamo una cascata ghiacciata e parcheggiamo la 4x4. Da qui si prosegue solo a piedi. La discesa, zaini in spalla, è da ridere, per non piangere. Siamo scesi a 4300m, ma la fatica è sempre la stessa.
Man mano che scendiamo per il sentiero, ci immergiamo nella povertà più totale di un villaggio che non ha nemmeno l’acqua corrente, se non una fontanella che tira su l’acqua del torrente. Nota dolente: cacca ovunque! Di cane, cavallo, yak, uomo.. nauseante. Le case sono sprovviste di bagno e le latrine comuni sono terribili. Di nuovo, meglio “in the nature”. Peccato che il loro “in the nature” sia ovunque e indiscriminatamente. Non facciamo in tempo a lasciare le borse nella nostra stanza (una camera da 5 nella guesthouse più nuova del villaggio) che ci imbattiamo nelle chiappe di una monaca pronta ad espletare le proprie funzioni in mezzo alla “strada”. Qui funziona così..

Difetti a parte, il villaggio è a dir poco pittoresco: incastonato tra due montagne, sovrastato dalle preghiere scritte sulle bandiere colorate e costruito lungo un ruscello le cui acque fanno girare delle campane sacre, dando vita a una preghiera perenne. La cosa che più colpisce del Tibet è questa: un popolo intero che prega senza sosta, durante ogni atto della propria vita. Il mormorio incessante stordisce, incanta. La misticità è ovunque, eterna e continua.

Ci sistemiamo bene nella nostra stanzetta mentre il freddo comincia ad essere pungente. Calata la notte, nel buio più totale, andrò a dormire con una maglietta, un maglioncino, due felpe e due gigantesche trapunte tibetane.
Decidiamo di cenare presto, dormire qualche ora e andare alle terme (anche queste sacre) alle 3 di notte! Un po’ riluttanti, accettiamo la proposta. Anche la cena è comica: dalla finestra senza tende, ogni tanto appare un viso sorridente che ci osserva incuriosito. Dashidelek!
Scaldiamo i nostri spaghetti istantanei e lo Yak ci aggiunge delle verdure preparate dalla moglie. Due chiacchiere, una passeggiata, due perle di saggezza da parte mia (“PREFERISCO DORMIRE SULLE NOSTRE COSE SPORCHE (maglietta sporca usata come federa del cuscino) CHE SULLE LORO PULITE” e “STARNUTISCI PURE PER TERRA CHE COSI’ FORSE SI PULISCE IL PAVIMENTO!” e ci mettiamo a letto. Penso di non essere mai andata a dormire alle 9.


Nel bel mezzo della notte (in realtà saranno state le 10.30) veniamo svegliati da un poliziotto urlante. WTF. Si alza lo Yak mentre G. rimane rintanato a letto a suggerire cosa dire. Forse perché il suo accento suggerisce il suo passato e preferisce non farsi sentire? Non lo so, so solo che il poliziotto non la smette di urlare e la cosa ci spaventa un po’… anche il questo caso, il motivo è la registrazione della nostra presenza. Requisisce la patente dello Yak per prevenire la nostra “fuga”. Ci rimettiamo a dormire.
Alle 3 suona la sveglia. L’unico pensiero che ci passa per la testa è “questi sono matti”. L’idea di mettere la testa fuori dalle coperte, uscire nel buio più totale delle montagne tibetane per buttarci in una pozzanghera di acqua a 40° (che in altitudine decisamente non fa bene se non si è acclimatati) completamente nudi e ritornare in stanza ancora bagnati.. non dico che sentimenti ci ispira. I due vanno avanti. Noi decidiamo di provarci. Marchetto sta peggio della notte precedente, cerchiamo di convincerlo del fatto che l’acqua calda è tutt’altro che una buona idea, ma insiste. Recuperiamo le torce e facciamo qualche metro fuori dalla porta. Non si vede a un palmo dal naso. E fa freddo! Tanto freddo! Pochi metri.. e decidiamo che la pipì è l’unica cosa che faremo quella notte! Ci adeguiamo alle abitudini locali e la facciamo lì dove ci troviamo. L’idea delle terme è accantonata definitivamente.

Torniamo in stanza e non ci mettiamo molto a riaddormentarci.