Il risveglio è nel deserto, piatto e polveroso. L’esatto opposto
di quando ci siamo addormentati. Arriviamo a Xining mezz’ora abbondante prima
del previsto. La città è deserta, anzi, un deserto. Desolata, desolante, piena
di polvere e cantieri. Il vecchio lascia posto al nuovo, come in una cantilena
sentita e risentita.
Cerchiamo un autobus per l’aeroporto, ma a quanto pare non ce ne
sono (o questo è quello che ci dicono…), quindi contrattiamo per un taxi.
Qualsiasi cosa pur di andar via da quella stazione triste e decadente.
L’aeroporto è piccolo e fatiscente, ma l’aereo è in orario.
Mentre il pilota accende i motori, ci chiediamo se sia possibile decollare in
mezzo a tutta quella polvere. Incrociamo le dita.
Atterriamo a BJ in un cielo decisamente azzurro, quanto meno
molto più azzurro di quello da cui siamo partiti. Tiro un sospiro di sollievo:
il mio primo impatto con quella città non era stato così piacevole.
Treno, metro, taxi abusivo, vagabondaggio tra gli hutong e arriviamo
all’ostello, desiderosi di una doccia calda. L’acqua è gelida. Bestemmie.
Per cena decidiamo di andare a Wangfujing e incontriamo due
uomini che non avendo altro da fare, ci scortano fino lì. Chiacchiero con loro
per tutto il tragitto, sono molto di compagnia, ma viste le ultime 48 ore,
arrivo a destinazione stremata dallo sforzo linguistico. Ormai è tardi, è tutto
chiuso. Rimane solo l’opzione Mc Donald’s. Poco male: l’idea di un cheesburger
va bene a tutti.
Più avanzano le lancette dell’orologio, più il Mc Donald’s si
trasforma in un “Mc Dormitorio”, come l’ha definito Andrea. Una quantità
assurda di persone si aggira per i tavoli in cerca di avanzi, per poi prendere
posto più o meno comodamente sui divanetti. Quando il numero degli accampati
supera quello degli svegli, decidiamo di andarcene.
Una lunga passeggiata fino a casa passando per l’imponente
piazza Tian’anmen illuminata e ci fiondiamo a letto, esausti.
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